Le Fiabuffe

Le parole sono porte
le puoi chiudere o aprire
han le gambe lunghe o corte
sono brave anche a mentire
Se le ascolti con le orecchie
nella testa son già vecchie
le dimentichi per strada
senza che l’accento cada
Ma se il cuore se le succhia
la cannuccia che le aspira
resterà come una macchia
la memoria che le ammira.
Quando un bambino inizia a parlare c’è qualcosa che si rompe e qualcosa che si crea. Si rompe il suo relazionarsi silenzioso, fatto di smorfie e intervallato solo da urli, dadadadà, uhmmm e qualche sillaba scomposta; quello che si crea è una prima struttura linguistica, una torretta di cristallo ancora fragile ma che si innalza fiera delle prime esperienze di ascolto e risposta. È buffo che si dia tanta importanza alla prima parola, che in fondo dà solo il via, rispetto a tutte quelle che seguono nei mesi successivi, come se un fiume che rompe la diga fosse considerato solo per la prima goccia che la oltrepassa.
Mio figlio ha esordito con un ordinario “mammmma” ma ha proseguito con grande fantasia interpretativa, inventandosi vocaboli e tempi verbali (se si dice “io rido” e il verbo è ridere, sarà pur vero che “io bevo” corrisponde a bevere no?), alterando le parole che sentiva in maniera pittoresca e diventando assolutamente contagioso. Dopo i primi sei mesi di chiacchiere infantili tutti noi chiamavamo le noccioline “nucciole” e lo yogurt “uotete”.
Ascoltarlo mi faceva sorridere, pensare e stare bene: quella vocina che azzeccava una sillaba sì e una no avrei voluto registrarla e riascoltarla a nastro continuo. Così ho preso una decisione simile a chi si è gustato una buona pesca, o un’albicocca e decide di vedere se quel nocciolo che gli è rimasto in mano può assumere un significato diverso da qualcosa che è finito; per cui lo prende e lo pianta e aspetta di vedere se ne nasce un albero.
Io ho seminato quelle parole sul mio blocco delle idee, le ho guardate, ci ho pensato annaffiandole con i miei voli pindarici e ne ho fatto delle porte. Da quelle porte sono entrata in mondi fantastici che ho cercato di ritrarre in altrettante favole e così quindici delle prime parole buffe di mio figlio si sono tramutate in storie, personaggi e creature della mia fantasia.
C’è voluto un po’ di tempo perché riuscissi a raccogliere le porte e il percorso che mi ci aveva fatto arrivare davanti; sono riuscita a scrivere tutto guardando mio figlio che faceva il suo pisolino pomeridiano di fronte al mare ma ho avuto bisogno di mesi, anni per mappare quei percorsi, guardarli davvero e stringerli in un abbraccio per poi lasciarli andare. Già in questo momento stanno volando sopra le vostre teste e se avete voglia di conoscerle e sbirciare oltre quelle porte le potete trovare sotto il titolo di “Fiabuffe”; mio figlio le ha lasciate andare presto, io ne ho fatto memoria, tesoro e tratto della mia strada di mamma.
Con le illustrazioni di Sara Lalla